Il canto come “lavoro artigianale” sul corpo e sulla voce

Intervista a Elena Vivaldi

di Eleonora Paolin (22.09.2023)

Elena Vivaldi, insegnante di canto, vocal coach e cantautrice, ci racconta e si racconta in questa intervista approfondendo aspetti sulla tecnica vocale e sull’importanza del “lavoro artigianale” che va fatto sul corpo e sulla voce, senza trascurare il ruolo della scuola e degli insegnanti per i giovani che vogliono avvicinarsi alla musica, in particolare a quella pop, jazz e moderna.

Elena Vivaldi |

Sito web: http://www.accademiadellamusica.com/index.html

Elena Vivaldi ha conseguito la Laurea in Canto Jazz, Pop e Musiche Improvvisate al Conservatorio Vivaldi di Alessandria e la Laurea Magistrale in Canto Jazz al Conservatorio Paganini di Genova, seguendo poi corsi di perfezionamento e specializzazione tra cui un Master in Vocalità Artistica. È cantante, cantautrice, vocal coach, docente di canto al liceo musicale e continua a formarsi nell’ambito della vocalità.

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Insegna canto dal 1993, collaborando con molte scuole del settore: tra queste l' “Accademia della Canzone di Sanremo” al Teatro Ariston, in collaborazione col Comune di Sanremo e la Rai, “SanremoLab” e “AreaSanremo”. Tiene concerti e recital alternando brani di sua composizione a pagine d'autore, collaborando con musicisti di fama nazionale. Nel 1995 ha co-fondato l’Accademia della Musica a Genova, in cui è direttore artistico della sezione musica moderna. Nel 2005 ha pubblicato per Carisch il libro “IL CANTO – Metodo teorico-pratico per il cantante moderno”, tradotto anche in lingua francese. Ha all'attivo diverse partecipazioni a CD come corista, solista, compositrice e autrice; come cantautrice ha pubblicato il singolo “Gli ultimi giorni” a favore della Gigi Ghirotti con la Neverland Records e il CD "Polaroid" per DeVega.

Come si è avvicinata al mondo della musica?

Da piccolissima, verso i 4 o 5 anni. Mia sorella grande suonava il pianoforte ed io ero gelosissima. Quando lei finiva io mi mettevo al piano e suonavo ad orecchio quello che stava suonando lei. Così mia mamma si è convinta a mandare a lezione anche me. Ero molto piccola però: il solfeggio non mi piaceva e la tecnica mi annoiava. La mia maestra, che era bravissima, decise di farmi studiare le sonatine di Muzio Clementi e piccoli studi o brani che per me erano più divertenti e mi facevano comunque esercitare sulla tecnica. Ovviamente mi toccava anche l’Hanon. Bisognerebbe sempre iniziare con la musica da piccoli: la musica gioca un ruolo importante nella formazione, a me ha letteralmente salvata.

In quale modo la musica l’ha “salvata”?

A dodici anni ho perso mamma e papà nel giro di un mese. Il pianoforte è stata una delle cose che mi hanno tenuta in piedi. Poi, un giorno, mia sorella mi ha chiuso il pianoforte a chiave perché non mi applicavo granché a scuola; allora ho cominciato con la chitarra, anche se la strimpellavo “da spiaggia”.

Ma, siccome con la chitarra riuscivo ad accompagnarmi sulle canzoni e con il pianoforte no, mi sono intestardita a voler imparare a farlo anche col pianoforte. Non conoscevo accordi, rivolti, triadi: all’epoca non c’erano prontuari che spiegassero queste cose, così mi sono creata un dizionario da sola, riportando via via le note che premevo sulle sei corde e sui tasti bianchi e neri. E ho cominciato anche a scrivere canzoni. Quando mi è arrivato il real book ho finalmente compreso le sigle americane. Infine, ho deciso che avrei studiato seriamente, quindi scelsi di entrare in Conservatorio.

Quali insegnanti sono stati significativi per lei?

Sicuramente Paolo Silvestri alla Scuola Jazz di Quarto (Genova) e il mio maestro di canto Oslavio Di Credico al Conservatorio Paganini (Genova), ma anche tanti altri. Quelli bravi ti lasciano qualcosa di importante: un tatuaggio, non sulla pelle, ma nel cuore. Ma anche da quelli per niente bravi si impara... se non altro, quello che non farai mai con i tuoi allievi.

Per la voce è dunque fondamentale una corretta tecnica vocale?

È importantissima! Ti permette di usare veramente il tuo strumento, altrimenti vai a caso, e può essere rischioso. Conoscere la propria voce è un viaggio che permette di scoprire se stessi, le proprie potenzialità e anche i propri limiti. Impari a conoscere e amare il suono della tua voce, ad averne cura, e scopri come allenare al meglio i tuoi muscoli.

È con il suono della nostra voce che noi comunichiamo. Poi vengono il testo e la musica. E per comunicare non serve una voce eccezionale né l'impostazione lirica. La lirica non è per tutti; per me, ad esempio, non era il mezzo che più mi permetteva di esprimermi. Si nasce con quel talento particolare. Ma c’è gente che pur non avendo grande estensione o potenza, comunica benissimo cantando e sa emozionare. Io adoro Mina, Ella Fitzgerald e Maria Callas, ma anche altri molto meno dotati vocalmente come Gino Paoli o Pino Daniele. Questo desidero portare ai ragazzi: bisogna lavorare per imparare a comunicare con il TUO suono, non con quello che fai per essere bella/o o per imitare altre/i.

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Elena Vivaldi canta l'inedito "Gli ultimi giorni"

I social media hanno un po’ cambiato il modo di fare musica...

In primis la televisione, che ha ancora un grande impatto sulla musica: Sanremo, i talent... La cosa brutta per me è che stiamo passando dei modelli negativi ai ragazzi. I testi di oggi spesso hanno messaggi diseducativi e violenti. Non possiamo pensare che i mass-media e i social non abbiano un’influenza su di noi... ce l’hanno, e potentissima! La cultura e le arti insegnano a non stereotiparti, ti portano dei valori. Se uno non ha questa opportunità attraverso la famiglia o la scuola, è davvero difficile distinguersi.

La musica è quindi anche una questione di educazione...

Certo! Ma educare come? E a cosa? Il problema oggi è che c'è un abisso tra la musica classica e il mondo musicale dei ragazzi. Bisognerebbe partire dai loro gusti e portarli verso la “paternità” di ciò che ascoltano, cioè fargli scoprire da dove viene. Gli insegnanti dovrebbero inoltre assecondare gli interessi dei ragazzi verso altri stili al di fuori della “classica”. La musica classica non è una musica facile, devi essere un minimo preparato per riceverla. Forse potrebbe essere un punto di arrivo, piuttosto che di partenza…

Il pop è più vicino a loro, è come una fotografia istantanea. Bisogna solo saper scegliere degli esempi significativi. Penso soprattutto alla canzone d'autore: in alcune canzoni c’è un livello superficiale, accessibile a tutti, ma può esserci anche un altro livello di comprensione che va più in profondità. Non è facile scrivere così. Si diceva di Gershwin che la sua fosse "l'arte della semplicità”. Attraverso queste opere si può educare all’ascolto, ad essere consapevoli - anche critici - al saper riconoscere la bellezza. Educare la voce credo sia un modo per educare la persona. Ed è fondamentale. Perché l’arte, come dicevo, ci può salvare! Ci segnala anche quali errori stiamo commettendo… è, in un certo senso, preveggente. L’artista ha questo ruolo, di icona e guida. Ma quali guide lasciamo ai ragazzi di oggi?

Quanto è importante il ruolo della scuola?

La scuola non deve annoiare i ragazzi, deve fargli venire la passione per qualcosa, aiutarli a sognare e a coltivare i propri sogni. “I sogni fanno male” - diceva un mio amico cantautore -, però, devi sempre provarci! La vita in fondo è questo: magari non raggiungi un determinato sogno, ma mentre stai volando ti capita altro che ti cambia la vita. La scuola dovrebbe aiutare i ragazzi a tirare fuori i loro talenti, a non omologarsi. E noi insegnanti ne siamo responsabili.

Cos’è per lei il canto?

Il canto per me è liberare la nostra voce interiore e insegnarlo è per me una missione, un modo per portare luce ai ragazzi. Gli insegnanti avrebbero davvero la possibilità di cambiare il mondo! Il mondo di ieri è passato, quello di oggi è in crisi, ma possiamo lavorare su quello di domani. Gli insegnanti dovrebbero fare da ponte tra una riva e l’altra, come Caronte.

L’insegnante di canto deve avere la capacità di riconoscere chi ha davanti e quali sono le sue potenzialità e attitudini. La voce è lo strumento più autentico che ci sia: lavori con te stesso e, perché tu sei lo strumento e, se sei autentico, scopri davvero chi sei. Ognuno di noi è unico, così la nostra voce: nel suono e, soprattutto, nel modo.

Mi piace parlare di “voce eufonica”, una voce efficace, che comunica senza sforzo: meno sforzi si fanno e meglio si comunica. Noi abbiamo tre apparati: respiratorio, laringeo e di risonanza, che corrispondono a intensità, altezza e timbro. Imparare a cantare vuol dire defaticare quello laringeo, potenziando gli altri due: “cantare senza la gola”, senza cioè far sforzare le corde vocali.

Io lavoro molto sul suono della voce e sulla postura. Per me è fondamentale lavorare sul corpo in maniera artigianale: uso la panca, la palla, gli specchi... e poi la musica è qualcosa che si fa insieme, con gli strumenti veri, con l’aria che vibra... e questo per me si può fare solo in presenza.

Il studio di Elena Vivaldi

Come è nato il progetto dell’Accademia della Musica?

Le realtà come l’Accademia sono fucine, fabbriche artigianali... e di questo i ragazzi hanno tantissimo bisogno. Il progetto è nato nel 1995 nei viali del Conservatorio. Io e una mia compagna oboista e pianista volevamo dar vita a una scuola dove si potesse studiare seriamente la musica leggera, che ha un suo modo, un suo stile, che va al di là delle basi della classica: c’è un modo diverso di usare la voce e gli strumenti, scale e prassi esecutive assolutamente peculiari. Avendo capito questo, abbiamo cercato di realizzarlo. E così abbiamo formato decine di ragazzi che oggi sono professionisti.

I corsi di pop in Conservatorio sono nati molti anni dopo. Oggi ci muoviamo anche in preparazione alle ammissioni, ci occupiamo di songwriting e creatività, avviciniamo alla teoria musicale con metodologie didattiche nuove e divertenti, cercando di stare sempre all'avanguardia. Ad esempio, recentemente l’Accademia della Musica, in esclusiva regionale in partnership con Woodman Production, utilizza il BINEL, uno specchio acustico che, posto davanti al cantante, favorisce la propriocezione della risonanza andando a filtrare le formanti del canto. Aiuta a non spingere, a riscaldare e a controllare meglio la voce, enfatizzandone le qualità in modo assolutamente naturale. Utilissimo in didattica, nel professionista permette di curare la precisione del focus.

Parliamo del suo metodo vocale “Il Canto. Metodo teorico-pratico per il cantante moderno”

Per questo metodo ho attinto da diverse fonti e da diversi momenti del mio percorso di studi e professionale. Da un lato, il lavoro svolto per la mia tesi finale all’Accademia di Belle Arti (in gemellaggio con il Conservatorio di Genova), che riguardava soprattutto l'anatomia e la fisiologia del canto, con molti disegni e tavole che illustrano i muscoli e come funzionano; dall’altro, l'esperienza maturata con i ragazzi dell'Accademia di Sanremo, dalla quale selezionavamo i ragazzi per Sanremo Giovani: a fine lezione mi facevano molte domande che mi hanno aiutata a capire meglio le loro esigenze, facendomi rendere conto della necessità di soffermarsi su alcune cose fondamentali che, in molti casi, non erano chiare o mancavano del tutto. Nel libro ho quindi inserito anche una parte sulla logopedia e sulla visita foniatrica. Così, quando ho proposto la mia bozza all'editore Carisch, ha deciso di pubblicarla.

Cosa ne pensa del mondo della tecnologia e del digitale applicato alla musica?

Gli spartiti digitali ed anche i programmi tipo Finale, Moises o GarageBand sono sicuramente molto utili. Ma la tecnologia oggi può cambiare il suono, l’intonazione, il volume, il timbro. E così si perde verità e spesso anche qualità. A posteriori può aiutare, ma bisogna imparare senza. Io non educo la voce con il microfono e non faccio lezione in un ambiente insonorizzato. Quando è necessario, insegno ad usarlo. Siamo tanti in Italia a lavorare così. Ma non tutti. Sono scuole di pensiero...

In questo senso la tecnica classica per me è stata fondamentale (credo che senza di quella nessuno di noi esisterebbe) ma bisogna traghettarla nella lingua che si parla oggi. Ovviamente rispetto i conservatoristi, ma mi sento più vicina a chi ha voglia di parlare con un linguaggio più attuale, che non deve per forza essere scadente: dobbiamo farlo con stile e competenza, senza dimenticare la tradizione, ma sapendo attualizzare il nostro illustre passato.

Grazie mille per questa emozionante intervista!

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